Nell’era dei cambiamenti climatici le strutture costruite da centinaia di anni per accogliere i viaggiatori e i frequentatori della montagna stanno subendo le conseguenze di un approccio alle attività sempre più discostato dalle finalità originarie, subendo in molti casi la pressione a soddisfare nuovi bisogni o garantire servizi non essenziali. Accade di frequente che il termine “Rifugio” venga equiparato, da chi ne promuove la visibilità per trarne un maggior profitto economico o da chi ne utilizza i servizi, ad “albergo o ristorante d’alta quota”, tenendo in considerazione che solo in alcune particolari situazioni alcuni di essi risultano raggiungibili da strade carrozzabili o senza difficoltà.
IN QUALE MODO SECONDO TE È POSSIBILE FAR COMPRENDERE LA NECESSITÀ DI APPROCCIARSI AD UN RIFUGIO DI MONTAGNA CON MAGGIORE SOBRIETÀ E MINORI PRETESE?
La scarsitá o carenza dell’acqua impone una seria presa di coscienza sull’utilizzo consapevole che se ne deve fare, a cominciare dagli usi più abbondanti e caratterizzati da sprechi come le docce e lo scarico per i servizi igienici, prediligendo una cura personale più essenziale e l’utilizzo di WC a secco, oltre ad una essenzialità della cucina.
SEI D’ACCORDO NEL RITENERE NECESSARIO RIDURRE FORTEMENTE L’USO DELL’ACQUA PER SCOPI NON ESSENZIALI?
Una assidua frequentazione della montagna per attività escursionistiche o alpinistiche non può avere come prerequisito la ricchezza economica, considerando l’obbligo imposto da tanti rifugi al trattamento di mezza
pensione e l’impossibilità di prenotare solo il pernottamento.
SEI D’ACCORDO NEL RITENERE FONDAMENTALE LA GARANZIA DI ACCOGLIENZA NEI RIFUGI ANCHE A CHI SCEGLIE DI CONTENERE LE SPESE?
Il peso dei rifugi nei bilanci economici delle sezioni è problematico in molti casi, anche con grandi differenze tra vari territori, però è necessario riconoscere l’importanza di garantire investimenti economici per migliorare l’efficienza energetica delle strutture e riuscire a garantire l’autoproduzione di elettricità da fonti rinnovabili.
QUALI PENSI CHE DEBBANO ESSERE LE SCELTE DELLE SEZIONI PER GARANTIRE LA SOSTENIBILITÀ ECONOMICA NELLA GESTIONE DEI RIFUGI?
I bivacchi sono oggi in auge e da una destinazione originaria di ricovero di fortuna su impegnative vie alpinistiche stanno mutando la loro essenza e diventando strutture ludiche e per il tempo libero, aumentando il carico antropico in ambienti delicati.
È IL CASO DI RIPENSARNE LA FUNZIONE E DI LIMITARE LE NUOVE REALIZZAZIONI?
“Il Rifugio del Club Alpino Italiano è la casa del Socio aperta a tutti i frequentatori della Montagna. Struttura nata per dare rifugio agli alpinisti, nel corso degli anni si è trasformata in porta di accesso alle montagne; punto di partenza e arrivo di impegnative salite ma anche di facili escursioni. Il Rifugio è un presidio di ospitalità in quota sobrio, essenziale e sostenibile, presidio culturale e del territorio, centro di attività divulgative, formative, educative e di apprendimento propedeutiche alla conoscenza e alla corretta frequentazione della Montagna.
Non è un albergo ma un laboratorio del “fare montagna” che sa contenere
insieme etica dell’alpinismo, socialità, accoglienza, alta performance in ambiente, turismo consapevole, rispetto e tutela del Paesaggio montano.” Così recita il Regolamento per le strutture ricettive del CAI.
COME SOCIO TI RICONOSCI CON QUESTA DEFINIZIONE?
DOVREBBE ESSERE MODIFICATA? E SE SI COME?
Vedo sempre più spesso rifugi trasformati in mini alberghi, ma non darei la colpa solo ai gestori: da imprenditori quali sono raccolgono le domande dei clienti e cercano di accontentarli, sicuramente con ritorno economico. Come CAI dobbiamo cercare di educare i frequentatori della montagna, nonché i nostri soci, a ridurre le prese, ad accontentarsi di ciò che si trova ma soprattutto a cercare la quiete e gli spazi isolati che la montagna ancora offre, nonché la socialità semplice che si ritrova la sera davanti ad un piatto. Importante è un dialogo continuo con i gestori, nostre sentinelle, per fargli “accettare” e capire che gli spazi incontaminati sono un bene prezioso per tutti. - Sezione: Conegliano
Da tanti anni vado in montagna e frequento rifugi e bivacchi (questi ora sicuramente meno perché l’età avanza e le energia sono diminuite). Ho un bellissimo ricordo di tante esperienze fatte, delle lunghe attraversate per raggiungere certi rifugi, delle fatiche per arrivare bella carica nei bivacchi scegliendo accuratamente cosa mettere nello zaino, delle strategie per ricavare l’acqua necessaria per una minestra o per riempire la borraccia. A volte ho patito la sete, altre ho fatto fatica ad accendere il fuoco o ho dormito con qualche topolino che cercava anche lui rifugio nella struttura. Ma sono stata ripagata da paesaggi meravigliosi, da stellate che ora faccio fatica a trovare, da incontri che hanno scaldato il cuore e queste cose fanno parte dei miei ricordi più belli. Non ho mai scelto una struttura di montagna per quello che offre ma per il contesto nel quale è inserita e per quello che la circonda.
Mi è capitato di recente di tornare in un rifugio e di fare la strada con altri compagni di viaggio occasionali, ho sentito il nonno che spiegava al nipote, che si lamentava della fatica, che una volta arrivati alla meta sarebbe stato ripagato da una cosa bellissima e io pensavo ” eh si, avere davanti la parete del Civetta è proprio un qualcosa che vale la fatica per arrivarci “. Che delusione quando ho capito che “la cosa meravigliosa” prospettata altro non era che un parco di gonfiabili!?! Ma dico io: con una vista davanti che è un’enciclopedia si deve proporre a un bambino un gonfiabile?
Sono consapevole che i rifugi devono essere sostenibili economicamente e che bisogna impegnarsi perché lo siano effettivamente ma ritengo che trasformarli in una brutta copia di quello che abbiamo in città non sia la strada giusta. Bisogna promuovere la frequentazione di queste strutture per la ricchezza che hanno dal punto di vista paesaggistico, per le peculiarità naturalistiche che offrono, per la cultura che trasmettono.
Certo, trovare anche un buon pasto fa la differenza ma questo si può avere anche con pietanze semplici che rispettino il contesto e che si possano ottenere con un minore dispendio energetico.
Già, anche per l’energia necessaria bisognerebbe cominciare a pensare allo sfruttamento di quelle rinnovabili, penso al solare ma anche all’eolico e, perché no, anche all’energia geotermica: l’evoluzione tecnologica con strumenti sempre più piccoli e meno impattanti, ci permette di poter aspirare a dotare anche i nostri rifugi di queste nuove tecnologie. E non sarebbe male premiare e aiutare chi si impegna in questa direzione.
Sono convinta che proporre alle nuove generazioni un modo più semplice di usufruire della montagna e delle bellezze naturali in generale alla lunga possa essere più apprezzato, più appagante e più sostenibile economicamente, perché sarebbe preservata la sua unicità. - Sezione: Dolo
Ritengo che gli attuali rifugi abbiano perso completamente la loro identità. Personalmente noto come al centro dell’esperienza rifugio ci sia non tanto l’esperienza alpinistica (o outdoor in generale), ma sembra quasi che il pernottamento sia diventato più una questione enogastronomica. Spesso nel commentare una struttura, infatti, se ne elogia la cucina come se si stesse parlando di un ristorante. Nulla in contrario se la cucina di un rifugio sia buona, ma il problema è che non faccio 3-4 ore di cammino o 1000+ di dislivello per andare al ristorante. Per me il rifugio è funzionale all’esperienza outdoor che voglio fare e mi serve come punto di appoggio in base all’intinerario che sto percorrendo e alle mie esigenze (con poche pretese ovviamente). Usando una similitudine per chiarire maggiormente, il rifugio dovrebbe essere più quasi come un autogrill. Mi spiego.
In autogrill quando ti fermi puoi fare benzina, oppure andare in bagno, oppure semplicemente riposarti. Per chi vuole, perché no, si può pure mangiare, nulla di male in questo. Ma non vai in autogrill per un’esperienza enogastronomica in sé, ci si va come punto di appoggio.
La tendenza, purtroppo, è quella di incentrare il pernottamento in rifugio come un’esperienza da B&B a sé stante laddove il pernottamento diventa quasi più importante dell’intinerario che si sta percorrendo.
Venendo al punto della questione, il rifugio non deve diventare una servizio per ricchi. Nell’ambito del contenimento delle risorse, personalmente le cucine dei rifugi potrebbero anche chiudere, mai avuto problemi a portarmi il cibo anzi, di fatto, è cosa che continuo a fare. Ovviamente la mia è una posizione estrema e un poco provocatoria.
Ad ogni modo, ritengo che bisogna rompere il binomio rifugio – albergo. Personalmente, molto spesso usufruisco del solo pernottamento, abito nel mezzo della pianura Padana ed ho già costi elevati solamente nel recarmi sulle montagne. Posso affermare che usufruendo del rifugio in maniera così frugale (modalità ancora prevista dal CAI – per fortuna), più di qualche volta mi sono quasi sentito a disagio. Al momento dell’arrivo mi viene sottoposto automaticamente il menù della cena quando per telefono ho chiaramente prenotato un solo pernottamento, e mi trovo a dover spiegare che ceno autonomamente e quasi quasi devo domandare il permesso di farlo, cosa che rientra nei miei diritti di socio CAI.
Per non parlare di rifugi con camerieri in livrea che mi servono, proprio come al ristorante (esperienza vissuta in un rifugio SAT dolomitico per essere precisi).
Da socio CAI, questa deriva del rifugio fa si che tenda ad allontanarmi da esso. Non un gran risultato a mio modesto parere. - Sezione: Lendinara
Penso che i rifugi possano essere in prima linea per educare i fruitori della montagna ad uno stile più semplice e sobrio a patto che i rifugi stessi adottino uno stile di gestione più sobrio e devono trasmettere questo alla clientela. Questa frugalità deve però essere condivisa dalla maggior parte dei gestori altrimenti si continuerà a far arrivare un messaggio sbagliato a chi va in montagna pensando di avere le comodità ed i servizi di una struttura di pianura. Umanamente parlando forse più facile a dirsi che a farsi per chi magari con gli introiti del rifugio ci vive e quindi non può permettersi di perdere clientela. - Sezione: Oderzo
IN QUALE MODO SECONDO TE È POSSIBILE FAR COMPRENDERE LA NECESSITÀ DI APPROCCIARSI AD UN RIFUGIO DI MONTAGNA CON MAGGIORE SOBRIETÀ E MINORI PRETESE?
E’ una causa persa, chi non vuole capire, non capisce. Non deve assolutamente essere una preoccupazione del CAI. A chi non va bene se ne torna a valle in albergo.
SEI D’ACCORDO NEL RITENERE NECESSARIO RIDURRE FORTEMENTE L’USO DELL’ACQUA PER SCOPI NON ESSENZIALI?
Ovviamente sì, nei rifugi in cui ci sono problemi di approvigionamento.
SEI D’ACCORDO NEL RITENERE FONDAMENTALE LA GARANZIA DI ACCOGLIENZA NEI RIFUGI ANCHE A CHI SCEGLIE DI CONTENERE LE SPESE?
La situazione attuale è semplicemente scandalosa. Si deve IMPORRE il rispetto delle norme ai gestori: solo pernottamento, piatto dell’alpinista, ecc. Non si può continuare con la gentrificazione dei rifugi. E permettere il bivacco in tenda gratuito dove consentito.
QUALI PENSI CHE DEBBANO ESSERE LE SCELTE DELLE SEZIONI PER GARANTIRE LA SOSTENIBILITÀ ECONOMICA NELLA GESTIONE DEI RIFUGI?
Ogni sezione deve fare i propri conti, senza escludere la possibilità di chiudere le strutture che non sono sostenibili. Bisogna evitare che tutte le risorse delle sezioni siano assorbite dalla cura dei rifugi, stroncando qualsiasi altra iniziativa della vita sezionale.
Servirebbe anche che a livello centrale si lavorasse per modificare le normative di sicurezza che non possono essere uguali a 3000 metri su una cresta rocciosa come a fondovalle con una strada asfaltata di fianco.
È IL CASO DI RIPENSARNE LA FUNZIONE E DI LIMITARE LE NUOVE REALIZZAZIONI?
Assolutamente sì. No a nuovi rifugi e nuovi bivacchi. E ampliamenti dell’esistente solo quando strettamente necessario. - Sezione: CAI Ligure