Skip to main content

La montagna è libera, la montagna è libertà, ma non anarchia!
Libertà che può essere vissuta in modo diverso ognuno secondo le proprie preferenze ed inclinazioni, ma ogni pratica sportiva comporta differenti implicazioni ed insiste sul territorio in modi, tempi e impatti differenti. Tre ambiti in particolare assumono rilevanza: l’impatto ambientale, legato agli ecosistemi e alle infrastrutture; il disturbo alla flora e alla fauna; la coesistenza fra i praticanti, con particolare riferimento alle iperfrequentazioni in spazi e tempi ristretti in ambienti delicati. Da qui discendono i principi di consapevolezza e di responsabilità.

CONDIVIDI QUESTO QUADRO DI RIFERIMENTO INIZIALE?
Una prima riflessione riguarda l’uso dei mezzi motorizzati per portare in quota i partecipanti. Molti ritengono non debbano essere incoraggiati e altri che debbano essere ridotti e in certi casi vietati. Alcuni esempi:
Motoslitte – quad e motociclette – elicottero per uso turistico. La stessa bicicletta a pedalata assistita, di fatto una bicicletta a motore elettrico. Le autovetture private. Tutti mezzi che consentono alte frequentazioni in quota senza il filtro della fatica.

QUAL È IL TUO PENSIERO AL RIGUARDO?
La e-bike sta avendo una diffusione esponenziale. Crea però due specifici problemi.
Il Downhill, pratica sportiva molto impattante sul terreno e pericolosa per gli escursionisti, dovrebbe essere limitata e possibile solo su percorsi riservati?
La e-bike necessita di energia. I rifugi alpini potrebbero essere attrezzati per la ricarica?

COSA NE PENSI?
Vie ferrate, ferrate alla francese, vie corda, ponti sospesi…

COSA DOVREBBE PROPORRE IL CLUB ALPINO IN MERITO?

I nuovi sport sono in gran parte basati sui social sia per la scelta dell’itinerario, sia per la traccia e l’informazione di base, con una forte tensione all’imitazione e, per contro, una scarsa o nulla valutazione del pericolo. A tuo parere questa situazione:

  • È INEVITABILE?
  • PUÒ E DEVE ESSERE GOVERNATA E DA CHI?
  • VA SCORAGGIATA?

13 Commenti

  • Roberto Schenone ha detto:

    CONDIVIDI QUESTO QUADRO DI RIFERIMENTO INIZIALE?
    Sì, impostazione corretta. Il concetto di fondo deve essere che “dobbiamo darci dei limiti”. Non tutto può essere sdoganato con la scusa dello sviluppo turistico e non tutto può essere accettato in nome della “libertà personale”.
    Bisogna assolutamente lasciare in eredità alle prossime generazioni degli spazi naturali intatti, l’esperienza della wilderness non può essere completamente azzerata, che si parli di una valle in cui fare passeggiate o gite sulla neve, di una parete su cui scalare senza protezioni fisse, di una forra in cui non poter contare su ancoraggi certificati, ecc

    USO MEZZI MOTORIZZATI
    L’uso dei mezzi motorizzati per portare utenti in quota dovrebbe essere vietato senza eccezioni.
    E’ impensabile anche il solo parlarne da parte del CAI. E le sezioni che non rispettano questa semplice regola dovrebbero essere espulse.
    Su certi temi il CAI non può ammettere zone grigie.

    EBIKE
    La e-bike sta avendo una diffusione esponenziale. E’ comunque un mezzo di trasporto silenzioso, poco inquinante, se usato con criterio non va ostacolato.
    Il downhill deve avere percorsi riservati. Va bene anche ai punti di ricarica sul territorio per le e-bike, purché questo non comporti la costruzione di nuove strade bianche o la demolizione di mulattiere e sentieri storici.

    VIE FERRATE
    No a nuove vie ferrate, di qualsiasi tipo, ove siano già presenti itinerari. Uniche eccezioni si possono prevedere per strutture a bassa quota in zone totalmente prive di ferrate o per la ristrutturazione di percorsi già esistenti

    Penso che lo sviluppo e l’uso scorretto dei social sia inarrestabile. Il CAI può solo impegnarsi nella formazione coi corsi e con l’informazione (mediante social, media e entrando in maniera strutturata nelle scuole superiori per sessioni di informazione) - Sezione: CAI Ligure

  • Alessandro Geri ha detto:

    Sui mezzi motorizzati ivi compresi quelli elettrici (mezzi con propulsione non muscolare) sono assolutamente contrario al loro utilizzo libero sulle reti escursionistiche di qualsiasi tipo sia perché sono distruttivi, sia per evitare la riproduzione delle problematiche cittadine nell’ambiente naturale. Questo vale anche per elicotteri, motoslitte ed altri mezzi motorizzati.
    Su ferrate, ponti sospesi, parchi avventura ecc. continuo a pensare ad un limite alla proliferazione poiché senza limiti la montagna si trasformerebbe in un parco giochi. Queste infrastrutture sono degli attrattori per cui sarebbe anche utile una pianificazione che individuasse territori vocati a queste attività e definisse le quote limite da non superare, per rispettare la fascia altimetrica delle nostre montagne naturalisticamente ed ambientalmente più integra ed anche divenuta più pericolosa a causa dei cambiamenti climatici.
    Su biciclette tradizionali ed a trazione assistita il discorso è più articolato perché richiede la distinzione sul tipo di bicicletta e di uso. Secondo me l’ attività motoria ciclo escursionistica dovrebbe essere permessa su tutta la rete escursionistica nel rispetto delle altre utenze, mentre la pratica sportiva della discesa ad alta velocità dovrebbe essere vietata sulla rete escursionistica e consentita su apposite piste in aree attrezzate (Bikepark) ed appositamente regolamentata, sia per la sicurezza, che per scaricare gli impatti distruttivi su aree dedicate salvaguardando le altre. - Sezione: Bologna

  • Alessandro Geri ha detto:

    In questo mio intervento seguirò lo schema impostato da chi coordina il tavolo di lavoro, quindi esprimerò prima il mio pensiero sul quadro di riferimento, poi cercherò di rispondere ai quesiti, poi entrerò nel merito dei “Nuovi Sport” alla luce dello statuto del CAI, della sua filosofia e prassi ed infine avanzerò qualche suggerimento per affrontare le problematiche dei “Nuovi Sport”
    Secondo la definizione del 1992 del Consiglio d’Europa lo Sport è “Qualsiasi forma di attività fisica che, mediante una partecipazione organizzata o meno, abbia come obiettivo il miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche, lo sviluppo delle relazioni sociali o il conseguimento di risultati nel corso di competizioni a tutti i livelli”. Quindi le attività del CAI in montagna possono essere considerate sport in base alla prima parte della definizione ma non per l’ultima sulla “competizione” esplicitamente esclusa dal nostro statuto.
    Infatti il CAI non è una Associazione Sportiva Dilettantesca (ASD) ma una Associazione di Promozione Sociale (APS) regolamentata dalle norme sul terzo settore.
    Sebbene condivida il quadro di riferimento mi sarebbe sembrato più corretto usare il termine di “attività motorie nell’ambiente naturale” più ampio, piuttosto che “pratica sportiva” anche perché nei 32 anni trascorsi dalla pubblicazione della definizione, lo sport ha sempre di più sfruttato “l’attività motoria” a fini competitivi, entrando sempre più spesso in conflitto con chi la pratica con fini salutistici, contemplativi o culturali.
    Poiché molti di quelli citati come “nuovi” non lo sono veramente, intenderò come nuove le evoluzioni attuali delle attività sportive che in una società sempre più spinta verso i consumi e la competizione non sono evitabili, perché muovono troppi interessi economici dei produttori dei mezzi e dell’indotto, con ricadute marginali sulle comunità locali che esse, però, non vogliono perdere.
    Per questa ragione considero velleitaria l’idea di vietarne la pratica mentre mi sembra indispensabile tentare di gestirla sebbene il nostro paese abbia dimostrato da troppo tempo di non saperlo fare. Stesso discorso vale per i social attraverso i quali viene veicolata qualsiasi attività ed informazione in modo così capillare da permeare le nostre vite e condizionare pesantemente i costumi delle nuove generazioni. La inevitabile forte tensione all’imitazione che negli esseri umani è ancestrale, può essere usata sui social per indurre maggiore serietà nella valutazione del pericolo. In poche parole quando i fenomeni non possono essere impediti meglio gestirli attivamente che subirli passivamente.
    Entrando nello specifico sui mezzi motorizzati ivi compresi quelli elettrici (mezzi con propulsione non muscolare) sono assolutamente contrario al loro utilizzo libero sulle reti escursionistiche di qualsiasi tipo sia perché sono distruttivi, sia per evitare la riproduzione delle problematiche cittadine nell’ambiente naturale. Questo vale anche per elicotteri, motoslitte ed altri mezzi motorizzati.
    Su ferrate, ponti sospesi, parchi avventura ecc. continuo a pensare ad un limite alla proliferazione poiché senza limiti la montagna si trasformerebbe in un parco giochi. Queste infrastrutture sono degli attrattori per cui sarebbe anche utile una pianificazione che individuasse territori vocati a queste attività e definisse le quote limite da non superare, per rispettare la fascia altimetrica delle nostre montagne naturalisticamente ed ambientalmente più integra ed anche divenuta più pericolosa a causa dei cambiamenti climatici.
    Su biciclette tradizionali ed a trazione assistita il discorso è più articolato perché richiede la distinzione sul tipo di bicicletta e di uso. Secondo me l’ attività motoria ciclo escursionistica dovrebbe essere permessa su tutta la rete escursionistica nel rispetto delle altre utenze, mentre la pratica sportiva della discesa ad alta velocità dovrebbe essere vietata sulla rete escursionistica e consentita su apposite piste in aree attrezzate (Bikepark) ed appositamente regolamentata, sia per la sicurezza, che per scaricare gli impatti distruttivi su aree dedicate salvaguardando le altre.

    Scenari di medio lungo periodo (10-20 anni)
    Abbiamo dietro le spalle molti esempi che ci permettono di ipotizzare il prossimo futuro e cercare di capire che posizione assumere per ridurne gli effetti indesiderati.
    Uno tra tutti l’evoluzione dello sci alpino permette di trarre qualche conclusione.
    Negli anni 50-60 gli appassionati erano pochi, le attrezzature poco efficaci e chi voleva fare quest’ attività doveva essere molto qualificato ed allenato per poterla praticare. L’ipotesi che il mercato sciistico fosse in espansione ha attirato capitali ed imponenti investimenti privati nei materiali e tecniche, e pubblici nelle infrastrutture (Piste ed impianti a fune) generando una crescita esponenziale dei consumi e delle opere fino a superare ogni limite accettabile. Oggi le aree delle montagne dedicate a questa attività sono diventate squallide chiassose, gestite come lunapark e gli appassionati di montagna le evitano come la peste, inoltre il mutamento climatico sconsiglia l’investimento sulla neve e molti in montagna temono di impoverirsi e cercano alternative. Poiché la pratica sportiva della discesa ad alta velocità in bicicletta sta espandendosi ad un ritmo vertiginoso è facile immaginare che la domanda di investimenti in montagna si orienti verso la riconversione di impianti a fune esistenti o la costruzione di nuovi per il trasporto a monte delle biciclette per scendere a valle su apposite piste. Se queste attività commerciali verranno adeguatamente promosse e diventeranno di moda, il percorso del loro sviluppo sarà paragonabile a quello dello Sci Alpino ed in montagna si assisterà alla crescita dei bike park accanto alle aree sciistiche, tutti gestiti come luna park senza limitazioni stagionali, di quota od innevamento.
    Per chi ama frequentare la montagna con fini salutistici, contemplativi o culturali questo è uno scenario apocalittico, in cui la società riduce gli spazi selvaggi all’aria aperta dove sia possibile vivere la natura, sacrificando così l’armonia della nostra vita ai fini economici.
    Occorre riflettere ora su questi possibili scenari, con la coscienza che nessuno di noi può fermare la macchina sociale, sebbene molto possa essere fatto per elaborare una strategia che minimizzi i danni e conservi qualche pezzo integro delle nostre montagne.
    In breve, non si tratta di opporsi allo sviluppo economico dei territori ma darsi dei limiti e tessere alleanze per non perdere le attrattive che garantiscono un flusso costante di visitatori e, con essi, la sopravvivenza delle comunità che vivono in montagna.
    Mentre con lo Sci Alpino l’opinione pubblica generale e del CAI in particolare si è mobilitata tardi (1985 Bidecalogo, 1995 tavole di Courmayeur) in un clima sociale di indifferenza, oggi la pratica sportiva della discesa libera in Mountain Bike (freeride), già sviluppata negli Stati Uniti, si sta espandendo anche da noi ma in un clima socio culturale più sensibile alla sostenibilità, che ha una maggiore consapevolezza delle conseguenze di uno sviluppo selvaggio e che può basarsi sugli indirizzi in merito già chiari da 30-40 anni.
    A questo proposito cito quanto riportato sulle tavole di Courmayeur :
    ” Le regole precedenti (ndr si riferiscono all’escursionismo) valgono anche per chi usa la mountain-bike, con particolare riferimento all’astensione dall’uso dei mezzi di risalita, che riduce la bicicletta a un semplice attrezzo per la discesa. Si richiede inoltre alle associazioni di seguire e controllare la diffusione delle gare cercando di limitarne il proliferare; e ai singoli biker di seguire, in attesa della definizione di un codice di autoregolamentazione nazionale, le note e già sperimentate norme americane NORBA e IMBA da adattare alle differenti realtà territoriali”. Questo testo esprime raccomandazioni che il CAI ha fatto proprie nello sviluppo del Cicloescursionismo ma che risultano insufficienti a distanza di 29 anni nell’ attuale contesto di frenesia produttivistica ed incentivazione delle bici a pedalata assistita o veri e propri motocicli elettrici.
    Ciò che veniva raccomandato 29 anni fa è stato fatto, i gruppi di cicloescursionismo interni al sodalizio sono nati in numerose sezioni e credo che rispettino il codice di autoregolazione che si sono dati, ma rappresentano una ristretta minoranza il cui lodevole sforzo di sensibilizzazione delle altre realtà ha una modesta incidenza sul fenomeno di massa. Per questa ragione, a partire dal Congresso, senza abbandonare le azioni di promozione del codice di autoregolazione e di sensibilizzazione dei bikers mediante la formazione affidata alle scuole di escursionismo e cicloescursionismo, il CAI dovrebbe accettare la sfida di un cambio di passo che lo veda in prima battuta impegnato nella sensibilizzazione delle realtà più significative degli sport a due ruote (FIAB, FCI ecc.), per riuscire a condividere con esse i principi di autoregolazione di queste attività e di pianificazione di eventuali aree dedicate, in seconda battuta per diventare coprotagonista di proposte legislative e di pianificazione territoriale che riducano l’impatto degli sport sia sugli ambienti della montagna, sia sulle altre “attività motorie sostenibili nell’ambiente naturale” nell’ ambito dell’ Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) coinvolgendo in questa azione il maggior numero possibile di associazioni ambientaliste come WWF, Lega Ambiente, Italia Nostra ecc.. o e sportive “compatibili” come quelle dei Trail Running affiliati alla FIDAL
    Una occasione da non perdere potrebbe essere la legge sulla “montagna e le aree interne” il cui iter si è fermato nel 2022, con la fine della legislatura, per riequilibrarne i contenuti, prevalentemente orientati allo sviluppo, con indirizzi più precisi sulla pianificazione, regolamentazione anche della rete escursionistica e vigilanza, tutti temi che darebbero sostanza al provvedimento altrimenti limitato alla funzione di “specchietto per le allodole”.
    Concludo accettando preventivamente ogni commento che rilevi le grandi difficoltà, ma quando mai le difficoltà hanno impedito agli uomini del CAI di tentare le concrete e reali cime delle montagne o quelle di ogni altra impresa importante? - Sezione: Bologna

  • Gaetano Iannarelli ha detto:

    CONDIVIDI QUESTO QUADRO DI RIFERIMENTO INIZIALE? A quanto mi risulta anarchia significa senza controllo, nel senso che basta la consapevolezza e il rispetto dell’ ambiente. I controlli servirebbero in maggior numero proprio perché non viene diffusa la consapevolezza. In generale tutte le attività sportive dovrebbero essere limitate in aree precise, precedentemente valutate, con accessi che potrebbero essere anche stagionali e seguire i ritmi della natura presente. - Sezione: Lagonegro

  • Antonio Bacciaglia ha detto:

    Ritengo che queste discipline alternative, se opportunamente regolate, possono contribuire ad aprire nuove opportunità nella fruizione della montagna.
    Per esempio, la e-bike offre un’opportunità nuova per esplorare con occhi diversi nuove zone, raggiungere rifugi attrezzati con postazioni di ricarica. Queste ultime dovrebbero però essere alimentate unicamente da fonte solare rinnovabile.
    L’attività in ciaspole permette di godersi la montagna innevata con il giusto ritmo, senza la frenesia, le code, l’inquinamento sonoro degli impianti sciistici.
    Questi ultimi invece rappresentano un’attività molto più impattante rispetto alle ‘nuove’ attività sportive menzionate nell’articolo, soprattutto in zone con innevamento in drastico calo degli ultimi anni (vedi rinnovo dell’area sciistica del Monte Acuto (PU), con un’indecente deturpamento del paesaggio e innesco di problematiche idrogeologiche dovute al massiccio disboscamento).
    Per quanto riguarda l’apertura di nuove ferrate, eviterei la creazione di parchi avventura come quello delle apuane, ma le limiterei semplicemente nei contesti alpinistici che hanno segnato la storia delle nostre montagne. - Sezione: Vetta Club - CAI Pesaro

Lascia un commento

*

Per la sicurezza, è richiesto l'uso del servizio reCAPTCHA di Google, soggetto all'Informativa sulla privacy di Google e ai Termini di utilizzo.

Accetto le condizioni.