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Il CAI, per sua natura e costituzione, rappresenta uno spaccato della società italiana che racchiude tutte le categorie sociali, tutti i territori, tutte le culture e le tradizioni, accomunate dalla frequentazione della montagna.
Frequentazione che per coloro che la montagna la abitano significa la quotidianità, mentre per coloro che alla montagna si avvicinano in tempi e periodi limitati, rappresenta un momento di fruizione e di impiego del tempo libero.
Due approcci molto differenti ma che trovano il punto di unità nella montagna appunto.
Quindi anche sotto questo profilo al CAI sta a cuore lo sviluppo dei territori di montagna.
Lo sviluppo dei territori di Montagna, rimasti ai margini della stagione di crescita urbana e industriale conosciuta dall’Italia nella seconda metà del XX secolo, porta in valore caratteri, materiali e immateriali.
Sui sentieri delle montagne è in movimento una trasformazione economica e sociale di grande futuro.
Nelle motivazioni di un popolo di alpinisti, escursionisti ecc. che realizza in montagna nuove aspirazioni di benessere individuale e di socialità devono necessariamente innestarsi le aspirazioni delle popolazioni che in montagna vivono e che dalla montagna traggono sostentamento.
Una riflessione che il CAI chiede a tutti i Soci durante lo svolgimento del 101° Congresso riguarda appunto come essi percepiscano l’efficacia o meno delle politiche sino ad oggi messe in campo a favore della montagna.
Per noi questo ragionamento trova radici profonde nella Costituzione la dove il senatore Gortani, padre costituente e consigliere centrale del CAI, ben 76 anni fa, fece introdurre al secondo comma dell’articolo 44, un riconoscimento statutale della montagna.
Come Soci, prima di tutto e poi come abitanti o frequentatori della montagna siamo fortemente legati a questa norma della Costituzione e quindi possiamo chiederci se ciò che viene oggi fatto per la montagna sia sufficiente e dia seguito al principio costituzionale appena descritto.
Le politiche per il rilancio delle aree interne sono già state avviate negli anni scorsi, con risultati alterni. La recente disponibilità dei nuovi fondi del PNRR rende ancor più necessario non frammentare gli interventi e coordinare gli enti e amministrazioni che li devono attuare.
Alle Regioni spetta il ruolo di pianificazione, alle amministrazioni comunali competono le scelte attuative sul territorio, coinvolgendo le comunità locali.
Lo sviluppo delle aree montane è legato a molteplici fattori che devono integrarsi tra loro: agricoltura, manifattura, allevamento, servizi, turismo; ma tutti questi fattori dovrebbero sempre trasmettere l’identità del territorio.
Il turismo in Montagna richiede una gestione attenta e lungimirante: disincentivare l’afflusso eccessivo in alcune località, valorizzando invece un turismo diffuso e responsabile nei comuni che mettono a disposizione una rete sentieristica e strutture di accoglienza adeguate. Turismo responsabile significa anche valorizzare le risorse ambientali e storiche dei luoghi. Il modello del Sentiero Italia CAI è un punto di riferimento.
Un turismo distribuito lungo tutte le stagioni genera posti di lavoro stabili e rappresenta una valida alternativa alla monocultura dello sci alle quote ove esso è ormai impraticabile.
In tutte le discussioni preparatorie del 101° Congresso è emersa prepotente la necessità di coinvolgere le generazioni più giovani nei progetti di sviluppo della vita in montagna. Per realizzare nei fatti questo coinvolgimento è però necessario riconoscere l’identità dei territori, dalla quale discende la voglia di restare e di diventare attori di comportamenti nuovi.
Avviciniamoci al 101° Congresso con il passo lento, cadenzato ma determinato del Montanaro!

2 Commenti

  • MARISA DALLA CORTE ha detto:

    In questo tavolo il tema piu’ scottante è quello della gestione dei grandi carnivori. Purtroppo l’occasione triste di un grande dibattito è accaduta in aprile di quest’anno a causa della morte di un ragazzo e di altre aggressioni da parte di orsi in Trentino. E’ poi successo che sono stati trovati morti alcuni esemplari di orso, probabilmente per mano umana illegale. Inoltre sono intensificati particolarmente i prelievi di animali da allevamento da parte dei lupi. Lasciando stare il grande rispetto per l’intelligenza e le abilita’ straordinarie di questi due animali speciali, orso e lupo, dotati di capacita’ incredibili, nonchè del fatto che in fondo la loro proliferazione è dovuta al cambiamento del rapporto umano con l’ambiente, vorrei pilotare il discorso in un altro ambito. L’uomo e la montagna sono inscindibili, l’uno senza l’altro non puo’ sussistere. Continuo pero’ a venire a conoscenza nel mio territorio, la provincia di Belluno, di predazioni feroci nei confronti di bestiame da pascolo. Dico da pascolo, ben evidenziando, in quanto questi animali erano, e non sono piu’, i padroni dei prati e delle cengie. Il pascolo è essenziale per una montagna pulita, ove le praterie continuino la loro rigenerazione botanica, senza che altri tipi di piante invasive assumano la supremazia. Parlo del veratro (pianta che aggredisce il narciso, le orchidee spontanee, le genziane), del ginepro ed anche del pino mugo. Se i pascoli verranno invasi da queste piante, scomparira’ la biodiversita’. Se la biodiversita’ scomparira’, possiamo dire addio a innumerevoli pascoli di alta quota che da secoli, millenni pure, hanno caratterizzato l’ambiente montano. Ambiente legato alla pastorizia, alla monticazione, alla vita dell’uomo praticante queste attivita’ cosi preziose eppure cosi poco considerate. Vorrei poi sottolineare la perfetta parita’ del diritto all’esistenza di tutti gli animali. Non riesco a capire il motivo per cui alcuni animali (lupo-orso ed altri predatori) debbano essere piu’ tutelati delle semplici eppur ugualmente preziose pecore, capre, asini e cavalli. Per non parlare dei camosci, caprioli e cervi. Mi chiedo se con i numeri di grandi carnivori che sono stati registrati negli ultimi censimenti da ISPRA, sia ancora ragionevole che alcune razze vengano poste sotto tutela completa, come previsto dall’art. 16 della Direttiva Habitat. Credo che una revisione di questa disposizione, trasformando in tutela parziale e controllata, sia la soluzione che potra’ permettere alle genti di montagna di poter ancora allevare con maggior serenita’ il proprio bestiame, anche a livello domestico. L’allevamento del bestiame, anche a livello amatoriale, è importante per la tenuta di prati in prossimita’ e di praterie di alta quota. Conosco fin troppo bene, vivendo a diretto contatto con queste realta’, la situazione degli alpeggi e della pastorizia nella Provincia. Lavoratori che debbono rimanere alzati la notte, costruzione di recinti improponibili per coloro che pascolano in forma itinerante, predazioni che non vengono completamente compensate in termini di denaro, privazione soprattutto di animali amati, Certo che si, amati. In quanto chi fa bene il proprio lavoro e lo fa per passione, ama gli animali con cui divide la propria quotidianita’.
    Spero venga tenuto conto di questo aspetto essenziale; l’uomo non puo’ curare la montagna se non viene dato ad esso il modo di raggiungerla appieno. - Sezione: Cai di Feltre - Referente commissione Tutela Ambiente Montano

  • gennaro ciavarella ha detto:

    Dobbiamo trovare un punto di unità cercando di rendere possibile il permanere della gente di montagna nei suoi luoghi non solo per le motivazioni “turistiche” ma anche per le motivazioni di salvaguardia delle produzioni di montagna e per la salvaguardia e manutenzione del territorio montano puntando alla nascita di forme di incentivazioni che da una parte limitino le fiscalità in area montana e dall’altra finanzino gli interventi che siano utili alla gestione del territorio rapportando la naturalità con le variazioni climatiche e alle sue trasformazioni geo-morfologiche. - Sezione: foggia

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