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Il secondo tavolo “Il CAI, la frequentazione responsabile della Montagna, i nuovi comportamenti consapevoli” chiama tutti i Soci a confrontarsi con i quotidiani e attuali modi di vivere e frequentare la Montagna stessa e la loro sempre maggiore inadeguatezza se rapportati ai mutamenti strutturali che Montagna affronta a causa dei cambiamenti climatici.
I sottotemi proposti entrano ancor più nello specifico e richiedono una capacità di approfondimento analitico e di visione verso il futuro:

  1. I nuovi alpinismi
  2. I nuovi sport (ebike-mbike-skialp extreme-parapendio-ciaspole)
  3. I nuovi stili di vita
  4. I nuovi Rifugi (strutture e gestione)
  5. Il nuovo CAI

Acquisire consapevolezza di come le attività antropiche possano avere un impatto negativo sugli ecosistemi montani e/o un disturbo sulla fauna e quindi l’esigenza di mettere in atto comportamenti adeguati non preclude lo svolgimento delle stesse ma impegna le coscienze dei frequentatori indirizzandole verso due fondamentali principi: CONSAPEVOLEZZA (so che quello che faccio può avere un impatto ecc.) e RESPONSABILITA’ (quindi mi comporto responsabilmente per mitigare/limitare i potenziali effetti della mia azione nell’interesse delle generazioni future).

Il concetto sparso molto diffuso del “no limits” come forma di crescita personale ha ancora senso? Come può essere riorientato verso la consapevolezza e la responsabilità?

Uno slogan quale il seguente, educa o deresponsabilizza?

“Siccome la montagna è di tutti allora ciascuno può fare quel che gli pare?”

Il nuovo CAI: in una logica di processo il nuovo CAI non potrà e non dovrà nascere magicamente a Roma. Inizierà una lunga marcia che coinvolgerà tutto il corpo sociale, una marcia da compiere con il passo lento e cadenzato del Montanaro.

11 Commenti

  • Enrica Cominotto ha detto:

    E’ indispensabile che il CAI si faccia promotore attivo di un modo corretto (che vuol dire responsabile, ma anche lento se serve) di frequentare la montagna.
    Bisogna decidere se il sodalizio deve seguire per forza l’onda della moda e abbracciare qualsiasi novità pur di portare gente in montagna (ma non è il suo compito) oppure assumere un atteggiamento più responsabile e farsi baluardo di una frequentazione consapevole dell’ambiente alpino.
    Faccio un semplice esempio: ha senso proporre corsi di alpinismo su roccia o ghiaccio o anche semplici escursioni e utilizzare impianti per salire in quota al solo scopo di ridurre gli avvicinamenti e poter fare più cime in poco tempo?.
    Non dovrebbe essere prerogativa del CAI insegnare che per salire in montagna ci vuole il tempo che ci vuole e che non tutti i luoghi in montagna sono adatti a tutti?
    Non è questo forse uno dei punti chiavi della consapevolezza?
    In questo senso devo dire che, a puro titolo di esempio, l’uso così diffuso di e-bike in montagna è una pratica che non va incoraggiata. Non è compito del CAI andare contro l’una o l’altra attività, bensì stabilire quali sono i modi più corretti e responsabili per andare in montagna e promuovere quelli e non altri.
    Dove PROMUOVERE vuol dire che il CAI nelle sue uscite deve essere il primo ad applicare questo modo lento, responsabile e consapevole di andare in montagna.
    I rifugi poi devono ovviamente essere dei posti ragionevolmente confortevoli, ma le apericene proprio non servono.
    Ogni tanto per fare un passo avanti bisogna fare un piccolo passo indietro. - Sezione: Spilimbergo

  • Fabio Ferrari ha detto:

    Sono perfettamente d’accordo con te al punto #2. È incredibile vedere quante occasioni di formazione alpinistica di base le sezioni CAI organizzano, direttamente o indirettamente, e poi quante poche iniziative alpinistiche, naturalmente progressive e moderate, si possono trovare nei programmi e calendari delle varie sezioni, a volte le stesse.
    C’è a mio parere un pregiudizio diffuso, più o meno non detto, per cui l’expertise alpinistica spinge il socio a “provare qualcosa di più”. Quindi, si struttura una formazione di base ad opera di alcune scuole, spesso per attrarre e per prestigio, si lancia il sasso, poi per i noti problemi di responsabilità civile a carico delle sezioni non c’è un seguito nei calendari delle uscite perché si possa sperimentare progressivamente, quindi si nasconde la mano.
    Non va bene.
    Così si genera rischio - Sezione: Carrara, Massa Carrara

  • Giorgio Argiolas ha detto:

    Io credo che noi potremmo fare qualcosa in più per salvaguardare la Montagna visto che la frequentiamo. Certo abbiamo le regole, le scriviamo nelle descrizioni ogni volta che andiamo in escursione sociale, alcuni direttori sono anche abbastanza attenti perchè il Gruppo le rispetti, ma non c’è uscita che qualcuno non venga pizzicato a buttare ciò che dovrebbe riportarsi a casa, che spenga la cicca sul terreno e se non visto la sotterra, usa buste di plastica per contenere il panino, porta i bicchieri di plastica per offrire il caffè a chi non ce l’ha, tiene il telefonino in mano ed invece di godersi la montagna, gli amici, la natura, chatta, è pazzesco. Quante volte capita di incontrare cicloescursionisti su sentieri stretti a velocità sostenuta e mai che si fermino davanti all’escursionista pedonale o ad un animale, senza parlare delle moto che nessuno riesce (o vuole) controllare. Ecco con questo voglio dire che forse senza andare a cercare soluzioni complicatissime, cose che da anni si sentono da parte di politici di turno ma mai si inizia veramente a far rispettare certe semplici regole, cominciamo a pretendere che il socio CAI sia uno di quelli che NON usa plastica, NON va in montagna con le bici elettriche a fare evoluzioni acrobatiche su sentieri in foresta provocando danni incalcolabili, NON frequenta zone delicate come nel periodo di nidificazione di alcuni animali in via di estinzione e/o protetti, NON lascia nulla in Montagna ma anzi se può porta via ciò che qualcuno può aver abbandonato, NON accende fuochi all’aperto, NON lascia il sentiero segnato per aprirne altri, NON sbraita in montagna perchè vuol vedere se gli risponde l’eco, NON scambia la Montagna con una giostra. Troppa gente va in montagna per il semplice motivo di dimagrire, e non hanno capito che andare in montagna fa NON bene ma benissimo, ma se non regola i tempi per stare seduto a tavola e mangiare sano, è tutto inutile. In conclusione proporrei maggiore attenzione, formazione, presa di coscienza ed essere d’esempio ai giovani in seno alle Sezioni ma anche dedicare un angolino in ogni numero sulla nostra rivista bimestrale al problema. Proporrei anche di consegnare ai nuovi iscritti un Kit completo di norme comportamentali, un sacchetto di stoffa, bicchiere e bottiglietta in alluminio o acciaio - Sezione: Cagliari

  • stefano ha detto:

    chi ama il pianeta, la natura, le montagne, deve essere consapevole che lo sfruttamento del pianeta deve diminuire. Tutti noi possiamo far qualcosa a proposito e un comportamento significativo anche per l’impatto che provoca è la diminuzione di consumo di carne. Oltre a questo penso che chi ama la natura ami anche gli animali in genere. Per questo proporrei che nei rifugi si possa propagandare tutto ciò, accompagnato da una diminuzione dell’uso di carne. Sicuramente è difficile per molti perchè si va a toccare uno dei piaceri della vita, il cibo ma è un passo molto importante. Proporrei che i rifugi che intendono adottare questa significativa diminuzione di carne siano in qualche modo classificati come “rifugi ecologici a basso consumo di carne”. Naturalmente possono essere abbinati anche ad altre iniziative come la diminuzione di cibi preconfezionati oppure “plastic free” ecc. Penso che chi frequenta la montagna siano persone attente a non pesare sull’ambiente con le loro anche seppur piccole scelte e possano recepire in bene il messaggio. A piccoli passi si può cambiare il mondo!
    L’impatto dell’uso della carne sul nostro pianeta è ben documentato e i dati sono molto allarmanti. Spero che tutto ciò possa essere di spunto per un’iniziativa che possa pin piano cambiare le abitudini della gente per più rispetto verso l’ambiente.
    buona giornata

  • _paolocava ha detto:

    Di seguito 3 spunti sul tema ‘Gli altri alpinismi’:

    #1 Cosa è per noi l’alpinismo se non un misto tra ricerca e condivisione. L’Alpinismo è ricerca di noi stessi, dei nostri limiti e delle nostre paure, ma anche scoperta della nostra identità e della nostra tradizione. L’Alpinismo è inoltre condividere e trasmettere emozioni con amici. L’alpinismo è tutto ciò e molto di più. Una incentivazione a serate tecniche periodiche -primavera per le attività estive ed autunno per l’inverno- sarebbe auspicabile e molto motivante per una ripresa delle attività alpinistiche a livello sezionale. Potrebbe essere importante istituire un gruppo di studio ‘ad hoc’ sulle difficoltà che le sezioni incontrano nella gestione di calendari con uscite alpinistiche.

    #2: Trasmettere l’Alpinismo. Saper trasmettere l’alpinismo non è cosa facile. Ad oggi la percentuale dei soci che frequentano corsi base o di primo livello e che poi lasciano per darsi ad altro è ancora troppo alta. Come fare per legare maggiormente questi soci e per far sì che non venga perduto un investimento che avrebbe interessato anche altri è compito dei direttivi delle sezioni e dei direttori delle scuole che, in sinergia, devono trovare un punto di convergenza sulle attività post corso, inserendo magari in attività sezionali una o più uscite post corso riservata agli allievi dei corsi stessi.

    #3: la cultura della montagna, nostro grande patrimonio. Cosa ci differenzia ad oggi dalle (tante) associazioni che promuovono la montagna nelle 4 stagioni? Sicuramente abituati tanto da averlo sempre con noi in ogni passo forse ci siamo dimenticati della importanza culturale che ci accomuna come base sociale. Una forma culturale che è trasversale ad ideologie, religioni, razze, sesso, partiti politici e che costituisce un forte collante tra i soci. Penso che il recuperare il senso della narrazione, dell’ascolto, dell’incontro, sia argomento di convegno CAI.

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