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Alpi e Appennini, la nostra Montagna italiana, presentano caratteri distintivi che ne creano differenze quindi ricchezza, ma alla base di tutto vi sono le popolazioni che ancora vi abitano alle quali dobbiamo rivolgerci con proposte credibili che ne valorizzino la funzione di custodi.
Dopo molti anni di disinteresse politico per le aree interne, malgrado la presenza nella costituzione (art. 44) del “comma Gortani”, dirigente CAI, la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) ha innescato processi interessanti con alcuni successi rimarchevoli, ma la complessità burocratica ne ha rallentano l’efficacia.
La SNAI è una politica nazionale volta allo sviluppo dei Territori di Montagna e a contrastare i fenomeni di declino demografico tipici delle aree interne.
Lo sviluppo dei Territori di Montagna deve avere una visione legata all’identità dei luoghi. Alla SNAI, si affiancano inoltre misure di natura straordinaria volte a favorire la ripresa economica ed il ripopolamento che però appaiono estremamente frammentate e inefficaci.
Sembra quindi evidente la necessità per una cabina di regia interministeriale per coordinare e facilitare gli investimenti e strategie sulle aree interne montane.

COSA NE PENSI DI QUESTE POLITICHE PER LA MONTAGNA?

UNA FISCALITA’ DI VANTAGGIO (iva agevolata, azzeramento imposte per giovani imprenditori del Territorio) PUO’ FAVORIRE IL RIPOPOLAMENTO?

QUALI ATTENZIONI BISOGNA PORRE PER EVITARE UNO SFRUTTAMENTO DEL TERRITORIO LEGATO AL SOLO VANTAGGIO ECONOMICO?

La frammentazione è ravvisabile anche nei destinatari dei finanziamenti. I Comuni oggi classificati “montani” sono 3.472 il 43% del totale dei Comuni italiani e ospitano quasi 9 milioni di abitanti pari al 14,7 % della popolazione italiana.

QUALI SONO I SOGGETTI CHE POSSONO PIÙ EFFICACEMENTE ATTUARE GLI INTERVENTI? MEGLIO ENTITÀ COMUNALI O STRUTTURE SOVRA-COMUNALI?

COME PUÒ IL CAI FARSI PROMOTORE DI AGGREGAZIONI TRA ENTI LOCALI PER GESTIRE AL MEGLIO E INSIEME SIA I FINANZIAMENTI PUBBLICI SIA I SERVIZI TERRITORIALI?

La formazione è di primaria importanza ed il vero valore su cui investire è il capitale umano, cui affidare l’identità del Territorio e la consapevolezza e la responsabilità di mantenere il Territorio in uno stato soddisfacente per le generazioni future.
In linea con misure programmatiche avviate dal governo centrale, si propone l’istituzione di figure professionali capaci di gestire progetti complessi e che conoscano risorse e specificità, incluse quelle normative, dei Territori montani. Oltre alla valutazione di bandi per ottenere i finanziamenti e il monitoraggio nel tempo del progetto queste figure professionali dovranno facilitare giovani e personale delle pubbliche amministrazioni nell’individuare nuove opportunità.

QUALI SONO E DA QUALI AMBITI DI FORMAZIONE POSSONO EMERGERE LE FIGURE PROFESSIONALI INDISPENSABILI PER IL RILANCIO DELLE AREE INTERNE?

3 Commenti

  • Daniel Ruiz ha detto:

    Non penso che la montagna abbia bisogno di vataggi fiscali, ma piutosto di servizi di base (trasporti pubblici, sanità, educazione, ecc.) - Sezione: Firenze

  • Francesco Garbasi ha detto:

    Mi permetto di condividere con voi una breve riflessione a proposito dello stimolo offerto sulla SNAI. È corretto impostare una visione nettamente bipolare tra città/pianura vs collina/montagna o aree ricche vs aree fragili? Certo le problematiche e le esigenze sono nettamente diverse e la geografia fisica fa propendere verso questa distinzione.
    Tuttavia, e giustamente, la strategia aree interne non distingue tra pianura e montagna, pur essendo queste ultime le aree maggiormente interessate. Ma la domanda che pongo è la seguente. Se abbiamo la forza di immaginare un sistema paese e un ruolo del CAI in questo sistema, non dovremmo forse pensare ad una maggiore integrazione tra aree fragili e aree già più strutturate? È corretto intervenire per suturare la ferita (strategia SNAI) senza verificare se le arterie con i cuori economici del paese siano aperte? Se queste ultime fossero ostruite il sistema potrebbe comunque reggere nel medio lungo periodo?
    A mio avviso la strategia dovrebbe essere un’alleanza strutturale tra cuore economico territoriale (normalmente la città più vicina o capoluogo provinciale) e l’area fragile, definire una strategia che prima di tutto verifichi che le arterie economiche e sociali siano in pieno flusso, intendendo con questo una strategia coordinata di azioni, con una definizione congiunta di un piano di investimenti su infrastrutture e servizi strategici. Da sempre lo sviluppo territoriale ha giocato su un rapporto sinergico tra pianura e montagna, poiché i due ambienti offrono servizi, habitat e competenze diversi tra loro. Ciò che rimane delle Provincie può forse contribuire a questo dialogo istituzionale?
    Sicuramente in quest’ottica, una fiscalità di vantaggio potrebbe favorire l’interesse dello sviluppo di attività locali. Tuttavia, ritengo che ciò non sia sufficiente. Spesso, infatti, il vincolo che una società per beneficare dei vantaggi fiscali debba avere la propria sede sociale sul territorio svantaggiato pone un problema sostanziale. Aziende, intraprese e sviluppate in pianura o nel capoluogo che avrebbero la forza e la volontà di investire sui territori montani e svantaggiati, non lo fanno.
    Risulta evidente che in questa alleanza tra capoluogo e territorio è necessario porre attenzione, determinando particolari esigenze di rendicontazione degli investimenti, quali ad esempio bilancio di sostenibilità e un report certificato riguardante l’impatto ambientale e sociale. Per quest’ultimo punto un’ottima partenza potrebbe essere avere la certificazione B corp, che definisce specifici requisiti in termini di impatto, o quantomeno, dimostrare di raggiungere risultati in tal senso.
    Al fine di coordinare ed attuare gli interventi, l’unità minima dovrebbe essere l’Unione dei comuni, che normalmente è caratterizzata da una certa uniformità di potenzialità e problematiche. Spesso però il problema risiede nel numero ridotto del personale delle Unioni, che talvolta non soddisfano tutte le competenze che piani di sviluppo di questo tipo necessiterebbero.
    In questo sistema quindi che ruolo possiamo immaginarci del CAI?
    Innanzitutto, il CAI è formato dalla comunità locale tramite le sue sezioni e proprio il ruolo della comunità deve essere centrale in questi processi di sviluppo. La stessa Convenzione di Faro, recentemente ratificata dall’Italia, definisce il ruolo delle Comunità Patrimoniali e la comunità CAI è già una forma aggregativa che al suo interno ha miriadi di Comunità Patrimoniali e questa è ricchezza.
    Sono i componenti delle comunità patrimoniali, infatti, che diventano i custodi, ovvero coloro che scelgono cosa è patrimonio per la comunità locale. Dobbiamo infatti essere consci che nel lungo periodo non esistono leggi sufficientemente forti per tutelare un qualsiasi bene, se non voluto e sentito come importante dalla comunità locale.
    Come capitalizzare questa ricchezza a favore dei territori?

    Forse attraverso la strutturazione di comitati scientifici composti da specifiche competenze, che in virtù delle quali possono affiancare le Unioni nel processo di determinazione delle linee di sviluppo, delle modalità di attuazione degli interventi e dell’affiancamento tecnico. In questo modo il CAI potrebbe diventare un attore importante nella definizione delle strategie di sviluppo della montagna. In tale scenario ogni comunità CAI, opportunamente interpellata, può contribuire allo sviluppo della visione politica di un territorio e sentirsi parte del processo di sviluppo.
    Oltre a figure tecniche, utili per le capacità gestionali per esempio dei bandi, sono altrettanto essenziali figure d’ambito umanistico per organizzare e gestire lo sviluppo delle Comunità Patrimoniali stesse. Se riteniamo siano necessari custodi viene implicitamente dichiarato che si ha un patrimonio da difendere. Quando si parla di patrimonio in senso esteso, dove l’oggetto è il territorio stesso, non è opportuna una visione cristallizzatrice (che è da rifuggire in generale), pertanto abbiamo bisogno di custodi capaci di guardare nel profondo futuro. Per fare questo le professioni quali storici, archeologi e antropologi sono di primaria importanza per creare spazi di visione profondi verso il passato, perché tale profondità, tale profonda comprensione della storia dell’uomo nell’ambiente, permettono di sviluppare un’analoga profondità di visione verso il futuro. Costruire o ricostruire l’identità locale, usando il patrimonio, quale che sia, il monumento, il museo, il paesaggio ecc. permette di far vivere la storia, l’identità culturale, che altro non serve che a vivere meglio. Per raggiungere questi obiettivi sono importanti le collaborazioni con sociologi e psicologi che permettono di far capire alle comunità come utilizzare il patrimonio per avere una qualità della vita migliore. Tale processo deve inoltre essere parametrato sulle caratteristiche delle nuove generazioni che hanno esigenze e capacità differenti rispetto a quelle passate.

    Al fine di disporre di una prassi unitaria da seguire a livello nazionale, sarebbe auspicabile individuare una uniforme qualifica delle sezioni che potranno svolgere questo particolare ruolo di collaborazione con la SNAI (APS?).
    Tale scelta, in base al grado di coinvolgimento delle figure professionali, dovrà essere presa anche in base alla possibilità di svolgere l’attività professionale retribuita, senza cadere nell’empasse del c.d. “professionismo negato”, in cui altre realtà molto note a livello nazionale nell’ambito dei Beni Culturali talvolta rischiano di scivolare. - Sezione: Castelnovo ne' Monti - Bismantova

  • Francesco Quattrone ha detto:

    GOETHE venne in Italia per scoprire le testimonianze d’arte e archeologiche sparse sul nostro territorio e scrisse il suo famoso Viaggio in Italia. Durante il suo viaggio rimase sorpreso e affascinato dalla bellezza dei borghi che incontrava e li definì prolungamento della natura, impressionato anche dalla intensa relazione che gli abitanti avevano con la natura circostante, per la cura e il rispetto che ne avevano, considerandosi parte integrante dei luoghi e della biodiversità presente. Oggi sembra via sia un rinnovato interesse per ritornare a vivere nei nostri borghi, non solo richiamati dal potente nostos quando il richiamo è verso il paesello natio dal quale siamo stati costretti ad allontanarci, ma anche, per molti stanchi della frenetica vita dei centri urbani. Si notano, sparsi sul territorio in modo disomogeneo, tentativi di insediamento, nuove forme di turismo e attività diverse in forme singole o di comunità, la presenza sempre più visibile di stranieri attratti dalla bellezza dei luoghi e da un modo di vivere più umano. Sono certamente segni di nuove istanze di valori, non solo un richiamo nostalgico. E però queste istanze vengono frenate da disponibilità ridotte di servizi sociali, da difficili condizioni di mobilità, da mancanza di innovazione nel campo delle tecnologie digitali, da problemi di sicurezza del territorio.
    È evidente che, oltre ad una mirata e attenta azione politica per ridurre, quanto meno, questi aspetti negativi che sono la causa principale dell’abbandono e delle persistenti disuguaglianze, occorre una attiva partecipazione di gruppi locali. Qualche positiva esperienza nel territorio della mia sezione in sinergia con pro loco, mi fa pensare che le sezioni CAI possono svolgere un ruolo fondamentale, soprattutto se hanno acquisito la qualifica di enti del terzo settore come APS, per le possibilità di collaborazione con gli enti locali sia come progettazione che come realizzazione in forma partecipata di loro progetti.
    Francesco Quattrone - Sezione: Sezione CAI”Pino Aversa” - Verbicaro(CS)

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